CALCOLARE L'INCOGNITA
Appena salita in macchina, mi fermo un attimo prima di inserire la chiave e mettere in moto. Il rumore della portiera sbattuta chiude fuori il vociare circostante e l'aria fredda. Mi lascio andare sul sedile e mi rilasso... i ricordi sono ancora troppo freschi per riaffiorare con chiarezza, come un quadro impressionista so già che facendo un passo indietro e riguardando questa giornata da una certa distanza ne distiguerò ogni singolo particolare. Per ora parla solo il mio corpo... i muscoli ancora caldi, il cuore che riprende a battere quieto e sotto la pelle uno strano formicolio che sembra corrente elettrica ma che riconosco come emozione. Penso a quello che mi hai ripetuto in questi mesi, l'allenamento fatto di tabelle, tempi, recuperi... termini codificati per ogni diversa andatura, un nome per ogni giorno di fatica. E io che ho sempre corso spinta solo dall'istinto, spesso cieca e sorda alla logica degli allenamenti, alla gestione della gara, sono rimasta sorpresa da questa visione matematica della corsa. Dalla fede assoluta nel risultato, dalla caparbia costanza dell'applicazione. La capisco e l’ammiro. Ne scorgo il senso di rassicurante certezza: il ricevere per quanto si è donato, il raccogliere quanto si è seminato, minuti scalati al tempo finale per ogni sacrificio fatto. E quando mi hai passato quel foglio con in fondo segnato il risultato ipotetico dell'equazione che avevi studiato per me, mi sono spaventata... non ce la farò mai!
Ti ho creduto? Ho avuto fiducia nei consigli che mi erano stati dati? Sinceramente no, mai fino in fondo. Non ho mai veramente preso in considerazione la possibilità di farcela. Non è una questione di sfiducia nelle mie capacità, più che altro è la difficoltà di riconoscermi in quegli schemi, di leggere il mio nome tra quei numeri. Io sono la variante incalcolabile delle tue equazioni, il fattore imprevisto che sempre si verifica, il risultato inaspettato che sorprende... sia nel bene che nel male.
I vetri della macchina si sono appannati e il mondo fuori così sfocato è ancora più lontano... sul finestrino scrivo con il dito il mio risultato. So che non è ciò che ti aspettavi e mi viene da sorridere. Perché si corre e si fatica sulle gambe ma si vola e si arriva con il cuore.
La roma-Ostia è un macchina imponente che ti inghiotte. Superate ognuno a suo modo le difficoltà per giungere nei pressi del Palalottomatica mezzi congelati nel grigiore di Febbraio, siamo sparsi nel turbinio colorato di podisti che si spostano come flussi migratori. Tappa obbligata al deposito borse, ai bagni, fino alla fila per accedere alla propria gabbia. Sembra impossibile incontrare visi noti, ogni appuntamento difficoltoso da rispettare all'interno di punti di riferimento in continua mutazione. L'EUR è un quartiere bloccato assediato da transenne, in attesa di essere liberato solo dopo il nostro passaggio. E proprio come uno sciame di cavallette passiamo macinando asfalto, consumando scarpe e lasciando alle nostre spalle uno scenario sconsolato di vecchie magliette, incarti vari e bottigliette mezze vuote.
All'arrivo, dopo 21 km, ognuno con il proprio carico di fatica si incanala in passaggi obbligati, percorsi studiati per far defluire ordinatamente, coccolati dalle mantelline anti-vento e dagli antitetici tè caldo e gelato... e ancora: ritiro della medaglia, pacco-gara, riconsegna del chip e ritiro sempre un po' ansioso della borsa contenente il nostro prezioso cambio. Rimane solo la risalita controcorrente per tornare al punto di partenza, per riavvolgere il nastro di una mattinata spesa in corsa e ricalcare i nostri stessi passi. Quando in lontanaza appare il Palalottomatica (oramai deserto) un po' ci si sorprende che tanta mobilitazione sia poi svaporata così velocemente e che la Roma-Ostia, per molti appuntamento centrale della stagione, sia ormai alle spalle. Nel mezzo c'è solo la gara, attesa e preparata, goduta gioiosamente o tirata e sofferta, chissà. L'emozione si mischia sempre con il dolore e ciò che genera è il nostro ricordo personale impossibile da raccontare.
Sei arrivato soddisfatto e appagato nonostante il tempo ottenuto perché hai dato il meglio di te; stanco e barcollante ancora incapace di leggere con lucidità il tuo cronometro; sofferente, sfinito ma con le lacrime agli occhi perché alla fine ciò che conta è superare anche di un solo passo quella linea; sei arrivato con il sorriso, mano nella mano con il tuo compagno, Solo e trionfante con il pugno stretto per il personale ottenuto; Deluso, sollevato, stravolto o esultante. In allungo, camminando, con le braccia al cielo o subito piegato per la nausea... Frammenti di un mosaico, scene di un film di cui tu sei un fotogramma e in qualunque modo tu sia arrivato, la tua Maratona è finita. Non è tempo di voltarsi indietro, valutare, giudicare, e gioire di quanto fatto. Ora è il momento di allentare i lacci delle scarpe, allungare le gambe e chiudere gli occhi. E' il tempo del meritato riposo, del silenzio e del tepore di un'infinita doccia bollente, di cibo sostazioso, dolci sfiziosi e coccole. Perché la fatica è stata tanta, i chilometri lunghi, i momenti di crisi terribili ma sei comunque arrivato. Domani ci sarà tempo per ogni tipo di considerazioni ma oggi ancora no! Riposati perchè te lo sei meritato.
Annalisa Gabriele