LA PRIMA NON SI DIMENTICA
volare oh oh... Cantare oh oh... A metà dell'undicesimo, a metà gara esatta, e a metà della salita del Camping, il gruppo dei pacemaker dell'1:50 inizia a intonare Modugno. L'undicesimo della Roma-Ostia è il più impegnativo di tutti: a conti fatti, tempi alla mano, è stato il mio km più lento, nonostante la crisi finale.
Mi circondano atleti molto più esperti di me, potrebbero andare più forte ma preferiscono cantare e accodarsi alle lepri... è una giornata di festa dopotutto. Ma è la mia prima volta su questa distanza, e non ho voglia di partecipare e basta. Il terrore di essere solamente a metà, di aver perso i riferimenti, di non avere idea di dove finirà la salita e dove finiranno le mie gambe e di essere alla prima mezza con pochi lunghi alle spalle, svanisce "nel blu dipinto di blu", nonostante la giornata plumbea a dir poco. Mi concentro sul ritmo e vado avanti, la salita finisce. Il cronometro segna l'ora esattamente al passaggio dei 12.
Rivivo i momenti della partenza: la consegna della borsa, l'incontro con il gruppo, gli in bocca al lupo, la fiscalità degli addetti, il riscaldamento nelle gabbie e la compressione verso la linea di partenza, dettata più dal freddo che dalla smania di partire. Lo sparo: sono tra i primi della mia onda, l'ultima; la discesa verso l'EUR, il palazzetto a destra e una strada in cui, in un giorno qualunque, migliaia di macchine impietose correrebbero in senso opposto. Ma il difficile è già arrivato, le bandierine dell'1:50 sono a tiro, finita la salita sarebbe facile riprenderle, ma non posso alzare il ritmo. Mi guardo intorno, cerco altre maglie verdi, non trovo nessuno. Resto disciplinato ai rifornimenti, stringo la spugna nel momento più opportuno, ma ogni altro accorgimento tattico è inutile, è il sedicesimo, il fiato c'è (beata gioventù) le gambe no, sono ancora meccanismi da oliare bene. C'è un inferno sotto le ginocchia, ma non cedo, aiutato anche dal tifo di Casal Palocco. Per la prima volta vedo così tanta gente, su entrambi i lati della strada, che festeggia e ci incoraggia. Riesco anche ad aumentare, ma sarà l'ultima volta. Rialzo la testa, proprio accanto a me ci sono i pacer. Sono partiti cinque minuti prima di me, arrivando con loro farei 1:45, oltre ogni più rosea aspettativa, ma le gambe non ne vogliono sapere. Lascio andare le lepri.
Diciottesimo... meno tre! Mi accorgo di stare camminando, ed ogni passo è ancora più pesante per colpa delle vesciche. E' allora che l'aiuto vero arriva: "corri, non camminare, corri anche piano ma corri!". Il consiglio arriva anonimo, disinteressato ma efficace. Non perdo tempo e faccio proprio quello che la voce ha detto. Abbasso il ritmo, ma vado.
19: pineta di Castel Fusano. Ci siamo quasi. Le gambe sembrano reggere la nuova velocità, ma non è ancora finita: poco più di un chilometro alla fine e arrivano i crampi. Caccio un urlo strozzato, inizio a saltellare.
20: gambe rigidissime, ma il nuovo stile di corsa aiuta, vedo avvicinarsi la fine della strada. Odore di mare. Ultima salitella, la "Rotonda", trecento metri. Gli occhi si chiudono a fessura, arrivo alla fine del "biscotto", i crampi tornano durante l'inversione ad U, ma è fatta.
21: c'è vento, c'è salsedine ma sono rimasti solo 100 metri. Pochi secondi, alzo gli occhi, guardo i tempi sulla struttura d'arrivo. Non li capisco. Non contano, non la prima volta, perché la vera gara è solo contro se stessi, soprattutto quando si arriva dopo quasi seimila persone. Ma il tappeto blu è lì. Fermo il cronometro, non fermo le lacrime. Mantellina, medaglia, tè caldo. Confusione, e poi, usciti dal mucchio, il ricongiungimento con tutte le altre persone che sono come te, sì. Ma che per quasi due ore sono state lì ad applaudirti. Ed è proprio questo il momento di sorridere.
David Luca Bona