NORVEGIA A PERDIFIATO

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Quote Norvegia a perdifiato, ovvero le maratone si corrono con la musica, ma anche con i libri...

Mia sorella mi prende in giro perché tra le mie passioni (letterarie e cinematografiche) ci sono quelle che lei definisce "storie tristi di persone tristi a cui succedono cose tremende", un genere ampio che comprende film indipendenti americani e, negli ultimi anni, un bel po’ di letteratura scandinava, gialla e non...

La prendo da lontano, per dire che l’idea di correre una maratona in Norvegia, nel bianco latteo del sole di mezzanotte (io che sono una cinica, al contrario di Laura, alla favoletta del non-tramonto scenografico dietro al runner con sorriso a 32 denti non ci ho mai creduto...), mi sembrava il giusto coronamento di un percorso prima ancora che sportivo culturale, rispetto al quale le sgambate in Islanda della scorsa estate erano state un assaggio capace di stuzzicare l’appetito. Avrei dovuto ricordarmi, però, che per l’appunto i libri e i film che tanto mi piacciono hanno la tendenza a trasmettere un mood un filo cupo (vi ricordate il buon Al Pacino che va fuori di testa in Insomnia?), un mood che, complice qualche fastidio seguito allo sforzo della Cortina-Dobbiaco di inizio giugno e un po’ di stress extra-sportivo, ha cominciato a investire le settimane prima della partenza per Tromso. Io che da mesi avevo tappezzato l’ufficio di mappe e altimetrie, che avevo stonato chiunque con questo viaggio tanto atteso, mi sentivo improvvisamente addosso un senso di insicurezza pazzesco, un’inquietudine che investiva la possibilità stessa di arrivare in fondo... a nulla valevano incoraggiamenti e rassicurazioni che in tanti amici ramarri e non continuavano a farmi... il tarlo era lì e scavava... anche perché né massaggi né antinfiammatori sembravano potere nulla contro quei persistenti dolori ai muscoli della gamba destra...

Salgo sull’aereo (ci aspettavano varie ore di viaggio, perfette per incriccare le articolazioni e irrigidire ulteriormente le gambe...) ed ecco che arriva di soppiatto, nella forma di un "innocuo" romanzo italiano (molto ben consigliato su queste stesse pagine...) quello che sembra il colpo di grazia. A perdifiato di Mauro Covacich, infatti, è il libro che mi fa compagnia la vigilia della maratona e lo fa così bene che me lo divoro quasi tutto prima di sera. Un libro veramente avvincente... ma che, almeno a me, mette addosso un’angoscia tremenda, un senso di tragedia incombente che riverso senza vergogna sulle mie compagne di viaggio, in ciò adiuvata da un meteo che non sembra lasciare scampo: pioggia, pioggia e ancora pioggia nonostante gli interventi della nostra amica Anita che ha già dimostrato di essere più efficiente dell’X-Woman Tempesta nel controllare il tempo... Però... però, come si dice, un romanzo va giudicato solo all’ultima pagina e dunque decido che le ultime ore di scarico (sdraiata sul letto in albergo, a un certo punto già bella vestita per la gara) alla lettura dell’ultima parte di A perdifiato, che, ovviamente, raccontano "in diretta" proprio una maratona (umana e sportiva). Non voglio rovinare a nessuno la lettura, ma confesso che questo finale, unito forse all’adrenalina che è riuscita a farsi strada nelle vene tra i carboidrati del noto carico, è riuscito ad attivare un meraviglioso effetto catartico, permettendomi di iniziare la gara non con gli occhi sfiduciati di tanti investigatori geniali dei miei amati gialli scandinavi, ma con il sorriso tutto italiano di una ramarra in trasferta, decisa a dare tutto su quelle strade umide (ma non bagnate, grazie a Dio!) e davanti a quel pubblico di entusiasti nottambuli (ci aspetteranno fino all’una di notte e oltre senza fare una piega a suon di heja! heja!).

E così sotto la (dubbia) egida di un runner triestino diventato allenatore di una squadra di atlete ungheresi, è partita la mia corsa, con un occhio al mio Garmin (c’è un’andatura da tenere, che scoperta, Luisa, una maratona non è improvvisazione!) e uno a "dove ti porta il cuore" (e quindi se te la senti perché non tirare un po’ di più, anche per fare bella figura con quei bei bimbetti biondi che ti porgono un (gelido) bicchiere d’acqua o un quarto di banana, freddina pure lei...).

Mi sono divertita più che a Roma, lo ammetto, perché anche se in un angolo del cervello continuavo a pensare che prima o poi il doloretto a coscia e polpaccio mi avrebbe forse azzoppato, nella pratica non avevo voglia di crederci finchè fosse accaduto, perché avevo deciso che invece di farmi la mia corsa l’avrei fatta con mia sorella (e questa corsa a due, da vere gemelline, cosa che non facciamo quasi mai, ha naturalmente suscitato un tifo supplementare sul percorso), lasciando al caso di decidere se quella da tirare sarei stata io o sarebbe stata lei. E mentre i chilometri diminuiscono (eh sì, lì usano i cartelli a decrescere e devo dire che è un calcolo che mi è congeniale) e le gambe continuano ad andare, mi sento anch’io un po’ "allenatrice", dò il ritmo dei rifornimenti e concedo i pochi passi necessari a riprendere lo slancio, urlo, canto, prometto un arrivo in volata. E così sarà, non ai 5’30’’ che speravo, ma pazienza, sarà per la prossima volta e la prossima strada, questa volta mi sono divertita a ritrovare la motivazione nel darla, a far uscire l’entusiasmo dall’umore cupo, a vedere il sole anche se non c’era... E anche questa è Norvegia a pedifiato... perché le maratone si corrono con la musica, ma anche con i libri! Quote

 

Luisa Cotta Ramosino

23 Giugno 2014

 

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